Antichrist Superstar di Marilyn Manson compie 25 anni. Parliamone.



di Giancarlo Mastinu

Ricordate quando da piccoli, per chi tra i nostri lettori ha ricevuto un’educazione religiosa al limite del fanatismo, i vostri genitori o i vostri catechisti vi predicavano del “male” rappresentato da Satana, il corruttore dei corruttori, il signore delle tenebre, e di come esso potesse manipolarci fino ad allontanarvi dalla retta via?

Bene.

Spesso, alla figura di Satana viene affiancata quella di Gesù Cristo, il figlio di Dio, Colui che decise di assumersi tutte le responsabilità per gli atti malvagi dell’uomo tanto da morire tra atroci supplizi sulla croce, salvando l’intera umanità. Cristo diventa quindi un simbolo, un Messia della salvezza dal male e dal peccato, i cui insegnamenti sono da seguire devotamente, per avere salva la propria anima.

La figura messianica in generale viene spesso vista infatti come un qualcosa di positivo, un qualcosa capace di sollevare il prossimo dalle miserie e condurlo verso un futuro migliore, creandosi discepoli e estimatori in tutto il mondo. Ma se invece il messia di turno fosse in realtà un qualcosa di tormentato, pericoloso, distruttivo e autodistruttivo? Quali sarebbero le conseguenze per lui e per l’intera umanità?

E’ proprio questo l’interrogativo che Marilyn Manson (nome d’arte di Brian Hugh Warren), uno dei cantanti più “maledetti” di sempre, si pone nel disco Antichrist Superstar, un concept album semi-autobiografico che prevede già dal titolo un totale capovolgimento della figura messianica. Non siamo più dinanzi al Gesù Superstar che Andrew Lloyd Webber aveva raccontato nel suo omonimo musical, ma davanti a qualcosa di marcio e pericoloso, un messia generato e non creato da una società malata e corrotta al limite della distopia, il cui operato comporterà l’estinzione della razza umana e di sé stesso.


All’epoca, il 1996, Manson aveva già fatto parlare di sé tramite i suoi primi album, l’acerbo e sperimentale Portrait of an American Family (1994) e l’EP Smells like children (1995), contenente l’ormai celeberrima cover “mansonizzata” di Sweet Dreams (Are made of this) degli Eurythmics. Ma fu proprio nell’anno successivo, con il suo Antichrist, a dare il via ad una lunghissima serie di controversie e polemiche, molte delle quali scatenati dai classici conservatori bigotti che non si erano ancora ripresi del tutto dal Panico Satanico che aveva impazzato negli Stati Uniti d’America durante il decennio precedente.

Proviamo a fare un passo indietro. Se ci pensate, da parte della destra conservatrice, il genere rock and roll venne sempre considerato “la musica del demonio”, un mito che venne spesso utilizzato da artisti come Jerry Lee Lewis o Robert Johnson come un’immagine pubblicitaria, atta ad attirare ancora più attenzione ed interesse nelle generazioni più giovani, ormai stanche della solita musica da salotto che veniva propinata dai loro genitori.

Ironicamente, Manson scatenò nuovamente questa paranoia religiosa, attirandosi minacce, critiche, accuse e Dio solo sa quante altre polemiche. Ma alla fine, se si ascolta attentamente il disco (e ho seri dubbi che i suoi detrattori l’abbiano fatto), alla fine l’argomento dell’Antichrist è solamente un pretesto per raccontare, attraverso una storia senza speranza, di un mondo destinato irrimediabilmente alla distruzione, una società dove vige una sorta di darwinismo sociale che stronca immediatamente qualsiasi debolezza o fragilità. E’ proprio in questo ambiente non tanto distante dal mondo che ci circonda oggi che l’Antichrist del titolo, un soggetto debole, abusato e insignificante chiamato inizialmente Little Worm (=piccolo verme) inizia la sua ascesa al potere messianico assoluto: una metamorfosi incontrollabile che alla fine costerà la vita ad ogni forma esistente sul mondo.

L’album è diviso in tre sezioni, due delle quali presentano dei chiarissimi rimandi al cinema esoterico-sperimentale di Kenneth Anger, in particolare Inauguration of the Pleasure Dome e Scorpio/Lucifer Rising:

1)      THE HEIROPHANT

2)      INAUGURATION OF THE WORM

3)      DISINTEGRATOR RISING

 


THE HEIROPHANT

E’ proprio qui che ha inizio il nostro viaggio nel mondo dilaniato e destinato all’estinzione descritto da Manson. Il titolo della prima parte, poi, non è affatto casuale: si basa infatti sulla figura dello Ierofante, il sacerdote supremo del culto misterico degli Eleusi, il cui compito principale consisteva nell’”iniziare” gli aspiranti adepti. In una sorta di metanarrazione, noi semplici ascoltatori, che abbiamo appena comprato (o scaricato) questo album, rappresentiamo proprio questi futuri adepti al culto che Manson, Ierofante contemporaneo, ha intenzione di iniziarci.

Il nostro concept si apre con una canzone il cui titolo è tutto un programma: Irresponsible hate anthem. Con di sottofondo un pubblico esultante, come se fosse un live, il Manson narratore si lancia in una serie di liriche aggressive e provocatorie di sapore quasi punk, prendendosi gioco dell’idea artificiale degli Stati Uniti come land of the free (“I am so american I sell suicide”). Ci troviamo di fronte ad un mondo corrotto, violento e totalitario, dove il credo religioso per Dio è solo una scusa per manifestare un odio profondo per il prossimo e per se stessi (“Let’s just kill everyone and let your god sort them out”). La voce narrante però pare essere contraria a tutto ciò, pretende di essere un ribelle contro queste regole violente (“I wasn’t born with enough middle fingers”), salvo poi tornare sui suoi passi, accusandosi di essere “un idiota che non sarà sé stesso”, un messaggio che intende mostrare come anche i presunti ribelli “fuck the system” in realtà abbiano troppa paura di ribellarsi, preferendo vivere in una sorta di bolla.

Con l’ormai celeberrimo rullo di batterie intervallato da accordi di chitarra elettrica “sporchi” e dissonanti eseguiti da Twiggy Ramirez, ci troviamo alla vera e propria introduzione alla storia: The Beautiful People. Ci viene introdotto, seppur implicitamente, il Wormboy protagonista, un disadattato vittima di questo ambiente marcio e tossico. Con ironia caustica, Manson/Wormboy ci immerge ancora di più in questo mondo reale-fittizio dove i deboli esistono solo ed esclusivamente per giustificare l’esistenza dei più forti (le “persone belle” del titolo), in un riuscitissimo attacco alla cultura capitalista e, ovviamente, quella della presunta e pubblicizzata “bellezza”, capace di corrompere qualsiasi cosa tocchi o entri in contatto con essa: “Capitalism has made its way, Old fashioned fascism will take it away […]if you live with apes man, it’s hard to be clean” . Per la prima volta nell’album vengono menzionati simbolicamente i vermi, che trovano “difficile” di chi nutrirsi, dato che ormai le distinzioni fra le “belle persone” e le “brutte persone” non esistono più. Wormboy invita gli ascoltatori e futuri discepoli ad odiare qualsiasi cosa incroci la nostra strada, in quanto “non c’è più tempo per discriminare”.

Le due canzoni che chiudono questa prima parte, Dried up, Tied and Dead to the world e Tourniquet rappresentano un’importante evoluzione di Wormboy, futuro Anticristo e distruttore del mondo. La prima, con delle sonorità più lisce e melodiche rispetto a quelle più dissonanti delle tracks precedenti, mostra racconta dell’illuminazione del protagonista/narratore sulla sua vita trascorsa tra l’abuso di droghe fornite dalle “belle persone”, che grazie a ciò hanno tenuto lui e l’intera popolazione “sedata” alla loro tirannia: una sorta di rielaborazione del mito platonico della caverna, dove i deboli sono legati, abusati e considerati “morti” dal mondo intero. Tutto questo deve finire immediatamente. Ed è proprio con Tourniquet che la grande rivoluzione ha inizio. Non a caso, l’essere il quarto pezzo dell’album altro non può che far riferimento al numero religioso della Creazione. Il “ragazzo verme”, ormai con gli occhi aperti sul mondo che lo circonda e di cui cercava inutilmente di farne parte, è ora pronto a raderlo a suolo e riformarlo a sua immagine. Nella sua autobiografia, Marilyn Manson descrisse questa canzone come una rappresentazione sonora degli incubi a sfondo apocalittico che faceva da ragazzino, immedesimandosi nel protagonista dell’album, raccontando essenzialmente una storia d’amore dove il lato amoroso altro non era che una facciata deforme (“She comes on like a crippled plaything, her spine is just a string”). In un mondo così corrotto, anche l’amore è un qualcosa di lontano e falso. Non sappiamo nulla di ciò che Wormboy ha dovuto passare ma egli, definendosi rabbiosamente e dolentemente un “laccio” (=tourniquet) spiega come l’amare ed essere amati è un qualcosa dove alla base vi è una ricerca atta a coprire un enorme ed incolmabile vuoto: non importa quanto si provi, la fragilità di un laccio non serve a nulla quando si tratta di tenere assieme i cocci di una relazione morta forse fin dalla nascita.

Non avendo nulla da perdere, senza amore e senza una possibile redenzione, il Wormboy inizia a trasformarsi, sia fisicamente che mentalmente, sviluppando la personalità del “Piccolo Corno” (=Little Horn), la cui omonima traccia apre la seconda parte della storia.

 


INAUGURATION OF THE WORM

Dopo le deprimenti e “sporche” tracce della prima parte, che ci offrono una visione misantropa e aggressiva in cui è ambientata la storia, l’overture del secondo atto è un trionfo di oscenità blasfeme e provocatorie, accompagnate da dei riff ancora più aggressivi e da una cantata ancora più urlata e furiosa. Del “ragazzo verme” non c’è quasi più nulla, al suo posto c’è il “Piccolo Corno”, il suo secondo stadio di in(e)voluzione. Lo stile della canzone può ricordare effettivamente canzoni metal o punk piene di parolacce e volgarità atte solo a scioccare o a far sfogare le persone dopo una brutta giornata: quel genere di musica che si ascolta da arrabbiati, nella propria camera, a tutto volume e facendosi venire il mal di testa più atroce possibile facendo headbanging.

A seguito di questa spaccante apertura piena di riff aggressivi e distruttivi, ci troviamo catapultati in un’atmosfera dal sapore musicale più sperimentale e vicino all’industrial, quasi reminescente di certe composizioni dei Rammstein o dei Korn. Il trittico Cryptorchid (il cui video musicale presenta un montaggio di scene tratte dal controverso e violentissimo film Begotten di E. Elias Mehrige) Deformography e Wormboy ci portano nell’inconscio del Piccolo Corno, dove sono rimaste ancora delle tracce del suo precedente io, il Ragazzo Verme, che esprime ancora una volta le sue disillusioni e frustrazioni, in un cammino via via sempre più vicino allo stadio finale dell’Anticristo Superstar del titolo. Dopo questa parentesi più elettronica e sofferta rispetto all’introduzione, ci troviamo in un ritorno alla rabbia dirompente del primo atto con un dittico di fantastico e perfettamente costruito metal in puro stile Marilyn Manson: il crescendo di Mister Superstar e il martellante industrial di Angel with scabbed wings riflettono come la fama tanto ambita da Ragazzo Verme/Piccolo Corno in realtà sia solo una facciata, proprio come quella amorosa descritta in Tourniquet. La prima parla di come i fan del Piccolo Corno, che egli credeva dei disadattati arrabbiati e desiderosi di riscatto come lui, siano in realtà dei personaggi opportunistici e senza una vera personalità, che si limitano ad interpretare superficialmente le sue canzoni e il suo stile di vita eccessivo e fuori dagli schemi, tanto da usarlo come un messia per le loro frustrazioni e i loro impulsi sessuali (“hey, hey mr. sickly star,I want to get sick from you, hey mr. fallen star, don't you know I worship you? […]hey mr. superstar, I'll kill myself for you); la seconda descrive lo stato del protagonista, un “angelo dalle ali cicatrizzate” sempre più dipendente dalle droghe, un’immagine che Mason dipinge usando sé stesso come modello. Egli è conscio dell’effetto che ha sui suoi fan più “stupidi”, come descritto nella canzone precedente, ma anche sulla società che lo ha generato: se prima veniva deriso, abusato e ricoperto di menzogne, ora tutti lo guardano con timore e fascino. Ed è proprio da questa prospettiva che accompagna il capitolo finale del secondo atto, le tastiere-circuiti spettrali di Kinderfeld accompagnate dalle percussioni dissonanti raccontano l’inizio della fine: il Piccolo Corno è tentato dall’Anticristo in persona. Ripensando a tutto quello che ha passato finora (“When I was a worm, thought I couldn't get through it”), egli si appella al “Disintegratore”, descrivendo l’umanità come dei giocattoli che presto si inginocchieranno davanti a lui. Non si torna più indietro, la fine è arrivata. Le ultime parole del secondo atto sono rivolte proprio a quell’umanità, ancora ignara della sua futura schiavitù: nessuno verrà a salvarli, ed essendo loro stessi coloro che hanno comportato questa trasformazione, da Ragazzo Verme a Piccolo Corno, da Piccolo Corno ad Anticristo Superstar, l’unica cosa di cui dovrebbero avere paura sono proprio loro stessi.

 


DISINTEGRATOR RISING

Siamo all’ultimo atto. Ed esso si apre con quello che è senza dubbio il capolavoro dell’intero album: la title track. Un compendio di tastiere, riff rabbiosi intervallati da brevi intermezzi di canti religiosi e dall’”hey” intercalato di un pubblico, come quello che sentivamo nell’Irresponsible Hate Anthem. Ora il protagonista è nella fase definitiva: egli non è più il debole, fragile e rabbioso Ragazzo Verme, e nemmeno l’esuberante e grottesco Piccolo Corno. Egli è l’Anticristo, la forma di anti-vita per eccellenza, generata dalla società darwinistica, bugiarda e violenta delle “belle persone”, pronto a recare morte e distruzione a tutto il creato (“Cut the head off, Grows back hard
I am the hydra, Now you'll see your star, Prick your finger it is done). Durante i concerti, Manson spesso esegue questa canzone in uno spettacolo pirotecnico e sbalorditivo, che lo vede sopra un podio, come un dittatore o un predicatore evangelista, atto ad incentivare ancora di più il sottotesto fascista della canzone, una sorta di propaganda musicale per i futuri adepti/ascoltatori.

La canzone si conclude con una registrazione che riporta la seguente frase: “When you are suffering, know that I have betrayed you”(= “quando soffri, ricordati che ti ho tradito), una rielaborazione di una citazione dal Book of the Law di Aleister Crowley, padre dell’occultismo moderno: “then when you are sad know that I have forsaken you”. Una costatazione inquietante e terribile sull’ipocrisia delle figure messianiche contemporanee, siano esse dei reietti come l’Anticristo o membri ben inseriti nel mondo, capaci di vendere bugie e false promesse, che alla fine causano solo dolore, sofferenza e, inevitabilmente, la morte.

L’ascesa dell’Anticristo è veloce e terribile, come testimonia la violenza distruttiva e assordante di 1996, dall’invito iniziale agli adepti di “incendiare il mondo” alla continua ripetizione dell’anti- (anti-music god, anti-whore, anti-cop, anti-fun, anti-black…), con un’assonanza che potremmo definire quasi punk, o, provocatoriamente parlando, edgy. Ma dopo tutta questa rabbia esplosiva, ci troviamo dinanzi a Minute of decay, con delle sonorità reminiscenti Cryptorchid e Deformography. Il ritmo è più lento e melodioso, la voce cantata presenta una furia che è stata rimpiazzata da una rabbia più supplicante (There is no cure for what is killing me, I'm on my way down, I've looked ahead and saw a world that's dead, I guess that I am too). Sembra quasi che il protagonista stia avendo per un attimo un momento di ripensamento sui suoi piani di distruzione, ma a giudicare dal seguente The Reflecting God sembra che sia solo un’illusione. Siamo di fronte alla seconda traccia più interessante e “sperimentale” dell’album: dal basso introduttivo di Twiggy Ramirez, al progredire di un connubio di tutte le musicalità che abbiamo udito finora, dall’elettronica all’industrial/alternative più violento, assistiamo al picco assoluto dell’Anticristo/Disintegratore. Egli ora ha il potere assoluto, e si rende conto di ciò che si prova ad averlo, esattamente come le “belle persone” si sentivano prima della sua ascesa. Tra loro e lui ora non c’è alcuna differenza. Ora tutti lo venerano come un dio, farebbero di tutto per lui. Egli è conscio che se dovesse morire diventerebbe ancora più potente, diventerebbe un martire, un idolo venerato da generazioni e generazioni ( I'm wide awake the more I sleep, You'll understand when I'm dead”). Il paradiso e l’inferno, per lui, erano solo bugie. Possiede un tale potere che potrebbe distruggere tutto quanto in un attimo (Scar/scar/can you feel my power? One shot and the world gets smaller). Ma alla fine, che scopo ha tutto questo? Come avevamo visto nella track che precede questa canzone, il protagonista sta ancora soffrendo. Ha ottenuto quello che voleva, ha ottenuto vendetta su un mondo violento che prima lo abusava e ora lo venera come un dio, ma a che scopo? L’umanità si sta ancora autodistruggendo, riducendo il mondo in un “posacenere”. Ed è proprio questa, la grande tragedia: che esista o meno un Dio, il motivo per cui uomini ci credono è per avere una speranza, per distogliere la mente dall’idea di quanto mostruosi e distruttivi siano diventati nei confronti di loro stessi e del mondo dove vivono (“Without the threat of death, There's no reason to live at all”). Con questo in mente, l’Anticristo si convince definitivamente che l’unica soluzione è distruggere l’umanità.


Dopo tutta questa terribile profezia di un’inevitabile apocalisse, la nostra storia si conclude con Man that you fear. Tutto è compiuto. Il mondo ormai è una landa desolata, e a percorrerla è proprio il protagonista, l’ultimo essere rimasto in vita. La canzone, un altro capolavoro del disco, è lontanissima dalle sonorità aggressive ascoltate finora. E’ solo un lungo, disperato lamento, dove l’Anticristo ricorda il suo passato da Ragazzo Verme e Piccolo Corno (“Are all your infants in abortion cribs? I was born into this, Everything turns to shit, The boy you loved is the man that you fear”), ma ormai rimasto solo con un potere di cui non sa che farsene, il protagonista lancia un appello a noi ascoltatori, accusandoci di aver “avvelenato i nostri figli per cammuffare le nostre cicatrici” e di “pregare alle nostre schegge e alla nostra paura”. Il mondo ormai è nelle sue mani, e nessuno può sentirci urlare. Il disco si conclude con l’enigmatica Track 99, una registrazione di voci distorte che sembrano annunciare l’arrivo di un nuovo Messia, riportando tutta la storia alla situazione iniziale, in un terribile loop senza alcuna speranza di salvezza.

Un finale devastante di una storia piena di rabbia, dolore e sofferenza. Una storia che, seppur in modo metaforico, ha raccontato uno spaccato della società americana degli anni ’90, che è rimasta sempre la stessa in tutti i questi anni. In un mondo dove i più deboli vengono soggiogati, derisi e sfruttati per scopi opportunistici dal prossimo, arriverà sempre un qualcuno che, con vari strumenti, fonderà un qualcosa che porterà alla rovina moltissime vite. E’ la prassi della figura dei falsi dei. Quando si vive in un mondo darwinista dove vige la legge del più forte, è normale che gli oppressi si appellino immediatamente a qualcuno che spari sentenze su un ipotetico modo di vivere utopico, libero da tutte le bugie e la violenza a cui essi sono stati abituati dai più forti. Ma quel qualcuno non è una figura divina, è un essere umano, e in quanto tale è debole, fragile e schiavo dei propri impulsi. L’evoluzione del protagonista di Antichrist Superstar è proprio quella, da oppresso a messia, da messia a distruttore. Una storia che in qualche modo ricalca la vita di Marilyn Manson e di come la sua figura abbia lasciato una forma indelebile nell’immaginario collettivo. Un ragazzo che è riuscito a diventare una voce per tutti i giovani oppressi dal moralismo ipocrita della borghesia, ma pagando il prezzo di trasformarsi nell’”uomo di cui si ha paura”, un detestato simbolo satanico e corruttore. Quasi profeticamente, Manson anticipava già in questo album tutte le critiche e le accuse che gli furono rivolte in seguito alla tragedia della Columbine. Molti genitori e conservatori bigotti erano più che convinti che fosse stato lui, con le sue liriche ribelli, ad ispirare il massacro perpetrato da Eric Harris e Dylan Klebold, due “Ragazzi verme” che con il loro atto criminale sono diventati un simbolo di rabbia e volontà di essere notati da un mondo indifferente dinanzi alle silenziose sofferenze del prossimo.

Con Antichrist Superstar, Marilyn Manson ha firmato il capolavoro della sua discografia, a cui seguiranno Holy Wood (In the valley of the shadow of death) e Mechanical Animals, entrambi ottimi dischi facenti parte di un’ideale trilogia musico-narrativa: un industrial/alternative metal sapientemente eseguito, con dei testi che ad un’approfondita lettura mostrano quanto il tanto temuto cantante fosse in realtà un’anima intellettuale e tormentata, che ancora oggi viene vista con sdegno e sospetto (aggiungendoci inoltre le recenti accuse di molestie sessuali ai danni di Evan Rachel Wood, un tempo sua compagna).

Gli anni sono passati, e potremmo dire che Manson si sia “imborghesito” a giudicare dalle sue ultime produzioni discografiche o alle apparizioni televisive (tra tutte, il cameo nel New Pope di Sorrentino, alle esilaranti partecipazioni in Celebrity Deathmatch o Clone High), ma egli resterà sempre un simbolo indelebile della rabbia e tormento repressiche la società americana degli anni ’90 ha generato fino alla loro inevitabile esplosione: l’Anticristo superstar, l’uomo di cui tutti hanno paura.

Brani consigliati: l'album è consigliato interamente.




Giancarlo Mastinu (1998) è l'autore di questo articolo. Studente, scrittore occasionale con l'intenzione di diventare uno sceneggiatore, ha una grande passione per il cinema e una certa leggera allergia per alcune tendenze moderne. Si descrive con questa breve, efficace espressione: ''Un po'boomer, ma lo faccio con stile''.

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