Blues For The Red Sun dei Kyuss compie 30 anni. Parliamone.




di Marco Palatella

Non tutti gli artisti sono così fortunati da avere successo, o quantomeno visibilità, già dal primo disco. Anzi, accade spesso che il primo album di un gruppo, pur essendo il loro “biglietto da visita” nel panorama musicale, non soddisfi le aspettative, risultando troppo anonimo o troppo acerbo, e per questo non molto memorabile. È questo il caso di Wretch, il debut dei Kyuss, che si può definire come un disco hard rock abbastanza standard e leggermente sporcato di grunge, dal suono vagamente grezzo, com’era di moda negli anni ’90, e accolto piuttosto tiepidamente dalla critica e dal pubblico. 

Eppure, nonostante questo freddo esordio, lo stesso gruppo che nel 1991 ha pubblicato questo disco, nemmeno un anno dopo è stato in grado di fare un salto di qualità a dir poco eclatante, dando vita a Blues For The Red Sun. Sì, perché quest’ultimo album non solo è riuscito a colmare ed evolvere le lacune del precedente, ma ha addirittura creato un sound completamente nuovo e personale, diventando a tutti gli effetti una pietra miliare: con la sua uscita, stiamo di fatto assistendo alla nascita di un vero e proprio genere, lo stoner rock, di cui inevitabilmente i Kyuss sono considerati tra i principali pionieri. Tale genere si proponeva di ispirarsi all’hard rock/heavy metal degli anni ’70 (con particolare riferimento ai Black Sabbath) per declinarlo in chiave più moderna per l’epoca, aggiungendo elementi grunge, hardcore punk e psichedelici. Blues For The Red Sun, essendo appunto iniziatore di questo nuovo stile, amalgama in sé stesso tutte queste influenze, rendendole, però, più personali, grazie a un sound decisamente particolare. 

Si nota fin da subito, dopo l’intro atmosferica della opener, ''Thumb'', come il gruppo abbia lavorato per rendere il suono molto più distorto, sporco e grezzo rispetto a quanto fatto con Wretch, sfociando quasi nel noise, dato che a volte è addirittura difficile distinguere le note della chitarra di Josh Homme. Se a ciò aggiungiamo la voce decisamente rauca e potente di John Garcia, la mente dell’ascoltatore viene portata verso immaginari di paesaggi aridi, secchi, desertici, tipicamente americani, quasi come se si stesse percorrendo la Route 66 a bordo di un camion. Inoltre, le aperture psichedeliche in molti brani del disco (tra cui segnalo ''50 Million Year Trip (Downside Up)'' e ''Apothecaries’ Weight''), combinate con la registrazione leggermente ovattata, rimandano a scenari onirici e lisergici, simili a quelli scaturiti da un trip di acidi: non è un caso, infatti, che il nome del genere “stoner rock” sia un riferimento alla cannabis (“stoned” in inglese slang significa “fatto”). 

Per tutta la durata del disco si alternano momenti più spinti, tipicamente hard rock con qualche accenno di punk e/o grunge (come ad esempio ''Green Machine''), ai già citati momenti psichedelici, senza disdegnare incursioni tipicamente blues (già parte di quell’hard rock a cui si ispira lo stoner), che appaiono quasi come improvvisate durante una jam session. Un’aura leggermente ironica e/o goliardica permea il disco e i suoi testi, come si può intuire ad esempio da ''Thong Song'' oppure dalla traccia conclusiva, ''Yeah'', che altro non è se non una registrazione di quattro secondi in cui viene detto solo “yeah”. 

Forse l’unico difetto che si può trovare a Blues For The Red Sun è una certa ripetitività negli schemi e nelle canzoni, che verso la fine del disco tendono ad assomigliarsi tra di loro; difetto comunque compensato dalla presenza di molti riff catchy, che entrano bene nella testa dell’ascoltatore e fanno pesare meno la durata del disco. Concludendo, Blues For The Red Sun contiene in sé alcuni dei tratti più rappresentativi del rock degli anni ’90 e non solo, e l’eredità che questo disco e i Kyuss in generale hanno lasciato per la musica a venire è imprescindibile (non dimentichiamoci che Josh Homme, conclusa l’esperienza con i Kyuss, fonderà i Queens Of The Stone Age, una delle band alternative rock più importanti degli ultimi anni, con evidenti influenze stoner); il suo trentesimo anniversario ci ricorda, ancora oggi, della sua attualità e originalità, e vale quindi la pena di festeggiarlo. 

Brani consigliati: ''Thumb'', ''Green Machine'', ''50 Million Year Trip (Downside Up), ''Thong Song'', ''Apothecaries' Weight'', ''Freedom Run'', ''Writhe''





Marco Palatella (1999) torna come nostro consulente per la sfera Rock e Metal. Studente universitario, Marco è anche chitarrista nel gruppo Post Hardcore Vremja. Per sostenerli potete seguirli su Facebook e Instagram oppure ascoltare il loro EP omonimo, Vremja, su Spotify e Bandcamp. Fidatevi, è un ascolto caldamente consigliato.

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